La storia è a metà strada fra una congiura di «colonnelli» frustrati e lo psicodramma. Tre dirigenti di primo piano di An, che in un bar parlano di Gianfranco Fini come di un leader malato e politicamente logoro, fanno già notizia. Se poi le loro frasi finiscono in un articolo seminascosto a pagina tre de Il Tempo di Roma, quotidiano vicino al centrodestra, l’eco aumenta. E se alla fine i tre, pentiti e con la coda fra le gambe, scrivono una lettera di precisazione alla direzione del giornale, e una di scuse a Fini, rimettendosi a lui «dal punto di vista politico», l’episodio diventa un cammeo della crisi di An; ma anche delle tensioni che continuano a esistere nella maggioranza di governo. Intanto, articolo e lettere non smentiscono la sostanza di dichiarazioni devastanti. Tanto più che uno dei tre «congiurati», il ministro Altero Matteoli, è considerato un fedelissimo del vicepremier e ministro degli Esteri; e gli altri due, l’ex ministro Maurizio Gasparri e l’ex coordinatore Ignazio La Russa, all’ultima assemblea nazionale di An avevano appoggiato un Fini ammaccato dal referendum sulla fecondazione assistita. L’episodio conferma invece che il compromesso interno raggiunto in quell’occasione non è bastato a ricreare un equilibrio; che nella destra la stella del leader è appannata; e che nel gruppo dirigente cresce il timore di un contraccolpo elettorale.
Ma l’altra impressione offerta dalla vicenda, che ha ancora qualche contorno da chiarire, è quella dell’impotenza politica degli avversari di Fini. Emerge un partito che si considera acefalo. Che borbotta sotto voce di avere un capo «malato», al quale «tremano le mani», e che «dice sempre di sì» a Silvio Berlusconi: questo avrebbero affermato Matteoli, Gasparri e La Russa in un bar romano vicino alla Camera dei deputati, smentendo poi in modo un po’ goffo. Eppure, nel momento in cui la loro conversazione diventa di dominio pubblico, il terzetto si ritrae e scrive contrito: «Caro Gianfranco, inutile dirti quanto ci dispiaccia. Inutile precisare che le parole, le frasi, il contesto e il tono risultano completamente falsati...».
Attenzione: «falsati», non «falsi». E comunque, «immeritatamente offensivi nei tuoi confronti», al punto che «non possiamo che chiederti scusa e, dal punto di vista politico, rimetterci a ogni tua decisione». Sembra la prova che si sia trattato non di una congiura in incubazione, ma di uno sfogo che riflette malumori crescenti dentro An. Ma si conferma anche l’impossibilità di trovare una soluzione alternativa al presidente del partito, dopo la tregua stipulata pochi giorni fa all’assemblea nazionale. Le indiscrezioni possono tuttavia avere un impatto superiore a qualsiasi previsione, per il ruolo istituzionale di Fini, titolare della Farnesina.
Riferiscono che la sua reazione sia stata, comprensibilmente, furibonda; che abbia minacciato di chiedere le dimissioni del terzetto. Ma quando dirigenti del suo stesso partito accreditano un ministro degli Esteri indebolito, smagrito, incapace di guidare i suoi alle elezioni, le conseguenze non sono lievi. In quel «ci rimettiamo a te», si intravedono il riconoscimento di un errore madornale e la sottomissione a Fini, che tende a chiudere il caso con la lettera. Eppure, l’incidente promette di lasciare un segno profondo: dentro An e in una coalizione nella quale Silvio Berlusconi ipotizza l’eventualità di farsi da parte; e Fini, a torto o a ragione, si considera un candidato a sostituirlo.