da repubblica
Troppi casi di alienazione giovanile, fino al fenomeno dei "patti suicidi". Ma in Europa si moltiplicano gli appassionati delle storie di origine nipponica.
La carica dei manga giapponesi
"Ma non diventi una mania"
di ROSALBA CASTELLETTI
Leggendo i manga nel metro di Tokyo ROMA - Disegnano fumetti, creano abiti, organizzano raduni per discutere della loro passione per il Sol Levante e per i mondi fantastici in cui amano perdersi, parlano una lingua ricca di inglesismi e prestiti giapponesi e per questo amano fregiarsi dell'appellativo "otaku". Sono i giovani appassionati di fumetti e cartoni animati giapponesi.
Sino a qualche decennio fa, termini come "anime" e "manga" in Italia erano oscuri anche agli stessi fan, ragazzi tra i 20 e i 25 anni conquistati dai cartoni animati giapponesi giunti nel nostro Paese dopo il 1978. La svolta è avvenuta nella seconda metà degli anni '90: grazie al successo delle serie Sailor Moon, Dragonball e Ranma 1/2, il pubblico dei manga e degli anime è diventato più vasto e più giovane. Oggi queste opere di marca giapponese non sono più un prodotto di nicchia: la sola Star Comics pubblica ogni mese 22 manga, con una diffusione media di 20-30 mila copie.
Manga, comics, anime. Il termine "manga" è l'unione di due parole del giapponese antico: "man" (immagine) e "ga" (in movimento). Utilizzato già nel 1200 per indicare i disegni sulle pareti dei templi, da anni distingue dai "comics" occidentali i fumetti di produzione giapponese, la cui caratteristica peculiare è che le storie si concludono in una sola puntata. Il termine inglese, adottato anche in Italia, "anime" è invece una contrazione della parola "animation" (animazione) e designa i cartoni animati di origine giapponese. Mentre quelli occidentali sono pensati e disegnati per un pubblico di bambini, gli anime giapponesi sono considerati una forma d'arte rivolta a tutte le fasce generazionali al pari dei film.
Otaku-mania. Di pari passo con la passione per manga e anime, è scoppiata la otaku mania. Basta muoversi su internet per imbattersi nei forum e nei club degli appassionati italiani o in siti dedicati alle singole serie, da Drangonball a Evangelion, da Lupin III a Ken il guerriero, e rendersi conto della vastità del fenomeno. La parola "otaku" è formata dal prefisso onorifico "o", usato anche come forma di cortesia della terza persona del pronome personale "Lei", e da "taku", ossia "casa" o "famiglia", e letteralmente significa "casa Sua", "casa altrui".
Inizialmente, nello slang giapponese, significava "fissato per qualcosa" ed era usato per marchiare negativamente ragazzi assorbiti in modo talmente maniacale da una passione o un hobby da chiudersi in casa e tagliarsi fuori dalla società. In Giappone c'è il "gemu otaku", che gioca continuamente coi videogiochi, il "pasokon otaku", che passa il suo tempo davanti a un personal computer, il "tetsudo otaku", che sa tutto su ferrovie e treni, etc... Il termine otaku insomma si può associare a qualsiasi passatempo e si usa un po' come il prefisso "filo" in italiano, ma con una sfumatura negativa.
I cosplay. Accanto alla passione per anime e manga, in Italia si è diffusa quella per le "action figure": le figurine dei propri idoli animati da scambiare e con cui giocare. Ha preso piede anche il "cosplay" (contrazione delle parole inglesi "costume", costume, e "play", giocare): la moda di vestirsi come i propri eroi animati. Il fenomeno, non più relegato a fiere di settore e feste tematiche, sta conquistando nuovi spazi: dalla "Cosplay Parade" tenutasi a Milano il 12 febbraio al "Cos-Party" del 29 settembre a Parma. Vi sono poi giovani che disegnano e inventano fumetti in stile manga, altri che redigono "fanzine". Alcuni si dilettano nella "fan fiction": riprendono i loro personaggi preferiti e rielaborano le loro vicende secondo una nuova trama.
In Giappone. Se alla fin fine, al di là di pregiudizi isolati, all'estero e in Italia il fenomeno otaku fa sempre più tendenza, in Giappone l'immagine negativa ad esso legata non è mai sparita. Otaku in Giappone è anche colui che si ripiega tra le quattro mura della propria stanza in un universo virtuale fatto di videogiochi, manga e anime. Dopo il caso di Miyazaki Tsutomu, che nel 1989 torturò e uccise 4 bambine e che non aveva altre frequentazioni se non 6mila videocassette e pile di fumetti, gli otaku sono stati pure accusati di essere lettori perversi di fumetti dai contenuti erotici.
Ma le identificazioni tra otaku e maniaci sono infondate. Semmai l'accezione negativa che il termine ha in Giappone è quella di "alienato" e che vede negli "otaku" esponenti della cosiddetta generazione del dopo boom economico, al pari degli "harajuku kids", degli "hikikomori", i giovani che manifestano il loro rifiuto per le convenzioni sociali vestendo in modo trasgressivo e audace o che hanno scelto di vivere come eremiti e di rinchiudersi nella propria camera. Contemporaneamente a questi, è iniziato il fenomeno dei "patti suicidi": giovani e adulti si conoscono in chat e poi s'incontrano per mettere in atto il suicidio collettivo. L'anno scorso in Giappone si son contati ben 32mila patti suicidi.
Fortunatamente in Italia, almeno nel gergo giovanile, otaku vuol dire semplicemente "appassionato di manga e anime" e la otaku mania ha dato vita semplicemente a manifestazioni creative e piene di brio come i Cartoon Day e i Cartoon Party