Tutta colpa dell'euro
In questi ultimi mesi, contrassegnati da una congiuntura economica inferiore alle attese e dall'inesorabile aumento del prezzo del petrolio, la moneta unica è assurta agli occhi di parte dell'opinione pubblica quale primo (quando non l'unico) responsabile di una situazione di difficoltà che interessa il Sistema Paese pressoché nella sua totalità.
Il ceto imprenditoriale del Nord Est dissente in modo inequivocabile da questo assunto. La tentazione di abbandonarsi a una troppo facile eurofobia non trova posto nelle opinioni espresse da oltre 300 titolari d'impresa interpellati per una ricerca ad hoc realizzata dalla Fondazione Nord Est nel giugno scorso. Il 67,7% dei titolari d'impresa di quest'area, infatti, dichiara con forza la propria contrarietà a un'ipotesi dì ritorno al la lira, nella certezza che i problemi che oggi affliggono l'economia del nostro Paese non dipendano dalla moneta unica, quanto piuttosto da altri fattori di carattere strutturale.
Poco più di un terzo del campione (31,3%), poi, ritiene che l'euro abbia portato con sé pure qualche problema, ma non tale da rendere plausibile un suo abbandono in favore del ritorno alla valuta nazionale, ormai entrata a far parte a pieno titolo dell'album dei ricordi personali di ogni cittadino europeo. Infine, soltanto l' 1 % dei rispondenti plaude all'ipotesi di un ritorno alla lira e ritiene che l'euro sia stato essenzialmente un danno alla stabilità del nostro Paese sotto il profilo economico e finanziario.
In sostanza, gli imprenditori sono certi del fatto che l'Italia stia soffrendo più che per l'impossibilità di ricorrere agli antichi meccanismi di svalutazione della moneta, soprattutto perché alle prese con alcune questioni strutturali che ledono a monte la competitività delle sue imprese. I punti critici sono ormai noti a tutti: dalla ridotta dimensione media delle aziende, alla crescente concorrenza internazionale: dalla burocrazia, all'assenza di adeguate reti infrastrutturali, per non parlare della pressione fiscale e del costo della manodopera.
Ma torniamo all'euro e alle profonde trasformazioni che l'adesione all'Unione monetaria ha portato anche in materia di definizione delle politiche economiche promosse dai singoli Paesi membri. Poco più di due imprenditori su tre (69,7%) ritengono che l'adesione al trattato di Maastricht, una delle tappe fondamentali del percorso dì adesione all'euro, abbia assicurato al nostro Paese una migliore gestione della finanza pubbli;a. I limiti imposti in sede comunitaria, infatti, hanno permesso un contenimento del deficit e del debito pubblico in assoluta controtendenza rispetto al decennio precedente. L'opinione generale è che la necessità di soddisfare i parametri di Maastricht abbia stimolato una gestione meno "allegra" dell'erario, garantendo una sostanziale stabilità. quantomeno nel medio termine, alla nostra economia.
Quanto ai singoli parametri, la maggioranza degli interpellati (53,6%) crede che essi non siano troppo severi o stringenti, ma anzi proprio la loro - almeno per ora - immutabilità sia ulteriore elemento di garanzia e stabilità. Tale dato è degno di nota, dal momento che altri importanti partner europei, quali la Germania e la Francia, ne hanno mancato il conseguimento in più di un'occasione, innescando in tal modo un aspro dibattito circa l'opportunità di una revisione di limiti ritenuti troppo stringenti per economie in trasformazione quali sono quelle del Vecchio Continente.
L'Unione monetaria, quindi, è ben lungi dall'essere responsabile del rallentamento dell'economia nazionale. Troppo facile fare dell'euro il capro espiatorio in un momento di difficoltà generale; troppo facile pure lasciarsi andare alla nostalgia di un passato che non ritornerà più. L'introduzione della moneta unica è coincisa con una delle congiunture più difficili che si ricordino nel recente passato. C'è piuttosto da chiedersi che cosa sarebbe successo qualora l'Italia, già alle prese con l'esigenza di dare il via ad una profonda trasformazione del proprio apparato produttivo, si fosse pure trovati in balia degli scherzi legati alla fluttuazione della proprietà moneta sui mercati internazionali.
DI FEDERICO FERRARO,Ricercatore Fondazione Nord Est
Il Sole 24 Ore 29-10-2005