Le meduse irukandji sono più piccole di un fiammifero; i «giganti» della specie possono raggiungere al massimo i 2,5/3 centimetri. Eppure sanno difendersi, come, se non meglio, delle loro «cugine» sparse per tutti i mari del mondo: a differenza della maggioranza delle meduse, infatti, possono pungere con ogni parte del corpo, non solo con i tentacoli. Chi viene punto spesso non se ne accorge per diversi minuti, anche 45, poi scatta quella che è stata definita la «sindrome irukandji»: attacchi d’ansia, dolori addominali, vomito, crampi, mal di testa, fino ad arrivare all’arresto cardiaco e quindi alla morte
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La irukandji non è la medusa più velenosa al mondo, ma è senz’altro quella che ha creato più grattacapi in fase di terapia, perché fino ad ora non la si è potuta mai studiare per bene. Il primato di velenosità va a un’altra medusa australiana, la vespa di mare (chironex fleckeri), anch’essa flagellante il Queensland. Basta sfiorarne una, anche se morta, o addirittura un moncone di tentacolo per trovare la morte, a meno che non si intervenga in tempo (esiste un antidoto). Famigerata è anche la caravella portoghese (physalia physalis), simile a una medusa, ma in realtà un aggregato di quattro organismi. Anch’essa mortale, ha tentacoli lunghi fino a 30 metri, che possono colpire un bagnante anche se questo si tiene a debita distanza dalla «testa», una sacca d’aria galleggiante che annuncia la presenza dell’animale. Infesta i mari caldi del modo e occasionalmente è stata avvistata anche in Italia.