Tratto da un articolo su Macchianera
Voi che almeno una volta avete pensato di fare i giornalisti: leggete questo post.
E sappiate che questa è la regola, non l’eccezione. Io sono uno dei giornalisti più liberi che conosco, ma solo nell’ultimo hanno ho avuto censure scrivendo della Scala, della Pirelli, delle acque minerali, delle compagnie aeree, di Armani e insomma di cose di cui pure, mediamente, non scrivo mai.
Che cazzo ci vuole, oggi, a scriver male di Prodi o di Berlusconi.
Il problema è un altro.
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Silvana, caposervizio di un mensile femminile, è nell’esiguo gruppo di coloro che non accettano la cosa. La vivono con disagio. Sostiene di sentirsi una mosca bianca.
«Durante le riunioni di redazione è stato detto di non scrivere o di scrivere un redazionale?»
Non si fanno molte riunioni. Le comunicazioni sono personali, tra il redattore e il caporedattore e chi si deve occupare delle interviste. Si sa che a un certo numero di pagine di pubblicità deve corrispondere un adeguato numero di redazionali.
«Puoi spiegarci meglio questo meccanismo?»
I servizi di moda devono essere preparati tenendo conto del numero di pagine di pubblicità acquistate dallo stilista. Ci sono degli elenchi, che provengono dal marketing, nei quali si specifica quali sono gli impegni presi con gli inserzionisti. Questo non vale solo per la moda ma anche per la cosmesi, cioè il settore bellezzà.
«Vuoi dire che a un certo numero di pagine di pubblicità deve corrispondere un prefissato numero di pagine di redazionali?»
Sì, alle pagine di pubblicità deve corrispondere un numero di pagine che parlino di quei prodotti.
«E non di altri?»
Certo, non di altri. Così, comunque, ti resta poco spazio per scrivere di altri. Una collega che lavorava al settore moda mi diceva che la libertà di scelta era intorno al 10 per cento. Era l’unica che me ne parlava, in genere le colleghe della moda sono molto riservate. Queste cose non si dovrebbero sapere in giro. Chi ne parla rischia.
È per la stessa ragione che non vuoi che si dica il tuo nome?
Certo, perché si rischia il licenziamento per giusta causa. In fondo si va contro gli interessi del datore di lavoro.
Anni fa avevo scritto un articolo su un foglio di controinformazione che girava per la mia casa editrice. Non è mai uscito perché qualcuno avrebbe dovuto firmare come direttore responsabile e nessuno se la sentiva di rischiare.
Quello che so è che l’ufficio marketing/pubblicità controlla molto attentamente quello che viene pubblicato e so per certo che il settore bellezza riceve delle proteste quando lo spazio per i prodotti degli inserzionisti non è come dovrebbe essere oppure se non è stato dato abbastanza rilievo a un certo prodotto.