Originariamente inviato da ZuperDani
Va ci ho messo pure il tag attira visite
A molti di voi giustamente non fregherà nulla: ma nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio ho fatto il mio primo concerto della mia vita.
Nonostante il posto fosse un buco, l'acustica oscena, e la mancanza di monitor per sentirmi, ho sfangato due ore di rock'n'roll
Il pub: carino, peccato che come ho già detto, l’acustica era oscena, con un rimbombo della madonna e la mancanza di monitor per sentire la mia voce. Però ci dà cena e bevute gratis, oltre a pagarci, e quindi va benissimo
Arriviamo con un anticipo mostruoso, come da richiesta. Scendiamo di sotto dove avremmo suonato, e vediamo una stanza piccola piccola, con un palchetto mezzo sfondato.
Ci posizioniamo, montiamo la batteria, poi l’amplificatore della chitarra, poi arriva il bassista con il suo di amplificatore, alto 2 metri, manco dovesse suonare al Live Aid
Io tolgo dal fodero nero il mio microfono Shure, come se davvero avessi lo scettro del potere cosmico, lo attacco al cavo e scopro con enorme disappunto che non arriva al mixer: mentre rimango con un’espressione indefinibile, una vocina nel cervello mi dice
“emmò come casso canto?”
Per fortuna il locale aveva un cavo di 15 metri, tutto intrecciato.
Attacchiamo dai, suoniamo.
Il batterista batte un paio di colpi e praticamente sembra che ci siano i botti di capodanno. Un baccano infernale. Il bassista suona ed allo stesso lo spostamento d’aria prodotto dal suo amplificatore
al volume minimo riesce a: 1) suonare il charleston, 2) scompigliarmi i capelli.
Il chitarrista come al solito mette il volume a palla sempre di più perchè
“ahò io non mi sento!!”
Io sento la mia voce... quando capita. Con 5 secondi di ritardo, come con le telefonate in Australia.
Fantastico, penso, è così meravigliosamente cessosa la situazione audio del primo concerto, proprio come me l’avevano raccontato.
In tutto questo scazzo un paio di testi e di attacchi e lo stomaco mi si chiude completamente, mentre i ragazzi della band si abbuffano e bevono allegramente alla faccia mia che mi limito a piluccare un po' di insalata, una birra piccola ed un misero bicchiere di Chianti.
Il concerto doveva iniziare alle 23.
Peccato che a parte gli eroici amici miei, non c’era nessuno.
Si comincia a vivacizzare alle 23.30.
Decidiamo di suonare, qualunque cosa succeda, a mezzanotte in punto.
Lo stomaco sempre più chiuso.
Non mi ricordo i testi.
Non ho voce.
Faccio schif!
E alla fine arriva mezzanotte. Saliamo sul palco, io per ultima (ma solo perchè non trovavo lo Scettro dell’Armonia Universale che avevo rinfonderato ed imboscato in una borsa senza fondo), il batterista attacca, si unisce il bassista, poi la chitarra e, non so come, passa tutto
VVoVe:
Sfanculo subito l’asta del microfono scassata che mi impaccia nei movimenti, voce piena e via.
Posso ora dire che tra le cose per cui vale la pena di vivere c’è:
- suonare le canzoni che più ti piacciono e notare che arriva sempre più gente a sentirti,
- vedere le persone cantare insieme a te,
- cantare un blues come Give me one reason di Tracy Chapman bevendoti una birra che ti viene offerta
Tutto il resto, le magagne, le bollette, lo stress, la routine e la gente che ti rompe le balle può aspettare. Ora si canta senza risparmiare niente, e gli applausi ed i complimenti che ci arrivano alla fine mi fanno capire che tutto quelli che, sì... ce l'abbiamo fatta.
La musica prende e la musica dà. Anzi, spesso prende molto più di quello che dà. Ma quello che ti dà, per quanto piccolo, riesce sempre a ripagarti di tutti i sacrifici