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I dubbi di Berlusconi sulla battaglia referendaria. An e Udc accusano
il leader di Forza Italia: un boomerang politicizzare il voto
Il Cavaliere scarica gli alleati
"Sono nauseato, lotto solo io"
Fini chiede una riflessione "seria" nella coalizione e riapre la partita
commissioni. Per l'ex premier rischio per il voto sulla devolution
di CLAUDIO TITO
Silvio Berlusconi
ROMA - Neanche il 10 aprile, quando si profilava la vittoria di Prodi, il clima nella Casa delle libertà era così pesante. La frattura nel centrodestra è ormai verticale. La tornata amministrativa ha aperto quel regolamento di conti che lo scorso mese era stato neutralizzato dalla lunga e contestata conta dei voti. "Sono nauseato", si è sfogato Silvio Berlusconi con alcuni dei suoi coordinatori regionali. Nauseato non solo dai risultati elettorali peggiori di quelli sperati, ma anche dal comportamento degli alleati.
Il gioco dello scaricabarile è scattato un secondo dopo la chiusura delle urne. Il Cavaliere attacca e i suoi partner non sono da meno. Gianfranco Fini sbatte sul tavolo il capitolo Roma. Dove Forza Italia ha perso il 10% rispetto ad un mese fa: "I forzisti non si sono impegnati per Alemanno". Pier Ferdinando Casini, invece, rivendica il risultato positivo dell'Udc ("l'unico partito del centrodestra in crescita") e recrimina: "Non si dovevano politicizzare le amministrative, è stato un boomerang".
Ecco il vero redde rationem nella Cdl. Che proseguirà almeno fino al 25 giugno, quando si terrà il referendum sulla devolution. Un appuntamento che molti nell'opposizione, a cominciare dal leader di Fi, consideravano centrale per la "rivincita". Ma i dati di quest'ultimo voto hanno scosso anche le convinzioni dell'ex premier. "Con questo astensionismo - ha chiesto ai fedelissimi - come possiamo ancora puntare sul referendum? Io, a questo punto, non so se possiamo ancora considerare la consultazione referendaria come lo strumento per cacciare Prodi".
Dubbi, tanti dubbi. Che stanno lentamente modificando la strategia di Berlusconi. La devolution probabilmente non è più il grimaldello per far saltare Prodi. Certo, formalmente i forzisti non abbandoneranno la linea dell'impegno federalista. Ma nella sostanza i rischi insiti nella poca affluenza alle urne stanno inducendo Via del Plebiscito a politicizzare molto meno l'appuntamento. "Del resto - osserva con i suoi - noi stiamo pagando proprio il fatto che i moderati non vanno a votare se non per le elezioni politiche. O meglio vanno a votare solo per me. Perché se fosse stato per gli altri, per Fini o per Casini, avremmo avuto il 10 aprile il risultato che abbiamo oggi".
Il dito accusatorio è rivolto verso i partner, ad eccezione della Lega. Ricorda che furono proprio "quei due" ad opporsi all'election day ed "ora la gente è come me nauseata dalla politica, i nostri elettori sono stanchi. Dovevamo portarli al voto una sola volta". Persino a Milano ammette che la Cdl non è stata travolgente per l'astensionismo. Gli alleati, dunque, restano un cruccio: "i risultati dei partiti sono migliori di quelli dei candidati. Prendete Buttiglione a Torino, si può fare peggio? È la dimostrazione che se non corro io, non c'è niente da fare".
Quindi, se il referendum non potrà assestare la "spallata" al Professore, il capo di Forza Italia vuole puntare il tutto per tutto sul partito unico dei moderati. Un argomento di cui ha discusso domenica sera anche con Umberto Bossi. Spera di poter coinvolgere i lumbard nel progetto temendo le tante tensioni che agitano la Lega. La spinta per "andare da soli" come nel 1995 è fortissima. E il rischio di una scissione è elevatissimo. Soprattutto dopo il giudizio popolare sulla devolution: "adesso però posso convincere Umberto".
Ma, appunto, in vista del 25 giugno le truppe della Cdl si dispongono in ordine sparso. Fini ieri era fuori dalla grazia di Dio: "serve una riflessione vera nella coalizione". Che coinvolga il Cavaliere. "Se Forza Italia si fosse impegnata a Roma - è sbottato - Alemanno sarebbe andato al ballottaggio e queste elezioni avrebbero avuto tutto un altro segno. Il calo di FI è inspiegabile se si considera che invece a Milano quasi tocca il massimo storico. Nelle altre città, poi, abbiamo sbagliato candidati: Buttiglione, Malvano. Sul territorio l'alleanza non c'è".
Ma l'atto di accusa tocca in primo luogo la Capitale. Gli stessi forzisti del Lazio non riescono a negare lo sconquasso. La coordinatrice regionale Lorenzin insieme a Bondi e Cicchitto che l'hanno nominata, sono nell'occhio del ciclone e a un passo dalle dimissioni. "E allora - è il ragionamento su cui insiste il leader di An - dobbiamo capire che tipo di centrodestra vogliamo nei prossimi due anni. Questa coalizione vince solo se c'è Berlusconi candidato, ma è anche una gabbia".
Serve qualcosa di diverso. Magari il partito unico. E una diversa strategia anche nel rapporto con la maggioranza. A cominciare dalle presidenze di commissione che, secondo Fini, possono costituire ancora un punto di dialogo. Richiesta cui Berlusconi e la Lega rispondono con un secco "non esiste". Anche i centristi sono in fermento. Attribuiscono alla campagna elettorale berlusconiana la colpa dell'insuccesso. "Non si dovevano politicizzare le amministrative - dicono a Via Due macelli - tanto Prodi comunque non lo avremmo mandato a casa". Di certo, ammonisce l'ex presidente della Camera, "non possiamo politicizzare pure il referendum. Se lo perdiamo, non facciamo altro che legittimare il centrosinistra".