Due anni più tardi, uno studio del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria indicava che l’11,9% degli indultati erano tornati in carcere dopo appena cinque mesi. Più in generale, da una popolazione carceraria di 60mila persone, alleggerita di circa 26mila unità grazie all’indulto nel luglio 2006, si era già risaliti a 43mila detenuti nel giugno 2007.
All’Associazione bancaria italiana, invece, risultavano improvvisamente raddoppiate, dopo un mese dall’indulto, le rapine in banca. Più delinquenti in libertà equivale automaticamente a un maggior numero di reati contro il patrimonio, spiegava uno studio dell’Abi.
Se i costi sociali superano i benefici, i partiti ritengono più saggio non assumere iniziative affrettate, soprattutto a ridosso di scadenze elettorali particolarmente cruciali. Tanto più che lo stesso ministro Severino è pronta a fornire numerosi argomenti contrari alle misure eccezionali. Ieri l’ha spiegato persino al riformatorio campano: “La stessa domanda sull’amnistia mi è stata rivolta da due ragazzi che ho incontrato. Ho detto loro che non bisogna restare con le mani in mano attendendo che ci siano le condizioni per l’amnistia”.
Semmai, sostiene che “si devono fare interventi strutturali che consentano di mantenere il numero detenuti compatibile con il decoro, e insistere perché le misure alternative alla detenzione diventino realtà operativa. Se si fa l’amnistia ma non c’è il mezzo per combattere la recidiva i numeri si raggiungeranno di nuovo”.